Venerdì, 07 Luglio 2017

“Autonomia? Parliamone”, fino all’8 luglio in Biblioteca Comunale, a Trento

CEREA, “A QUALE MODELLO DI AUTONOMIA VOGLIAMO SI ISPIRINO LE NORME FINANZIARIE?”

Ieri pomeriggio alla Biblioteca Comunale di Trento Gianfranco Cerea, professore di Economia all’Università di Trento ed esperto di finanza pubblica, ha proposto un’analisi dei profili finanziari dell’autonomia. “Quanto mi costi?”: il titolo del suo intervento, all’interno dell’iniziativa proposta dalla Consulta per la riforma dello Statuto dal 3 all’8 luglio a Trento. “Per comprendere i termini della questione occorre conoscere i meccanismi che governano la finanza dell’autonomia e le scelte che ne hanno condizionato lo sviluppo”, ha detto il prof. Cerea. “Dal punto di vista culturale e politico non c’è un modello unico di autonomia finanziaria. Ci sono state delle stagioni di autonomia molto diverse, per cui prima di definire quale potrà essere il nuovo assetto occorre ripercorrere la strada e capire cos’è cambiato nel tempo. Il punto di partenza – ha proseguito Cerea – è il 1913. Il Tirolo-Vorarlberg e il Trentino avevano all’epoca un reddito simile e tendenzialmente superiore a quello dell’Italia, inseriti in un contesto di squilibri territoriali molto forti. Con il passaggio all’Italia il Trentino Alto Adige perde il 30% e diventa uno dei territori più poveri. Questa condizione permane a lungo e per tornare ai livelli del 1913 bisognerà aspettare il 1970. Il dato del 1938 è importante. Quando nasce il primo Statuto, Luigi Einaudi - incaricato dal presidente del Consiglio Alcide Degasperi -, prese come riferimento le spese che lo Stato sosteneva sul territorio per le materie che sarebbero state trasferite alla Regione e fece riferimento ai dati dei gettiti tributari del 1938. Quindi i 9/10 – semplificando – sono quanto serve a un territorio molto povero per finanziare le spese dello Stato su quel territorio. Lo Statuto della Regione Trentino Alto Adige, a differenza di qualsiasi altro Statuto di autonomia speciale, quando nasce prevede come unica forma di entrata le compartecipazioni. Mentre le altre Regioni prevedono nei loro statuti che lo Stato, accanto alle quote dei loro tributi, integri con altre risorse, qui non è prevista alcuna forma di integrazione. Viene sancito un modello di separazione tra la finanza della Regione e la finanza dello Stato. Politicamente è una scelta importante: la classe politica di un territorio povero decide, in quel momento, che quel territorio vivrà solo delle risorse che è in grado di generare, senza chiedere aiuti. Questo è il modello del ’48 che verrà poi stravolto nel 1971. Lo Statuto del ’71 segna un passaggio culturale verso un modello politico diverso. Nasce con una grande inadeguatezza poiché il riferimento per la parte delle imposte viene fatto ai tributi del vecchio ordinamento tributario che verrà sostituito nel ’72. Qui si apre una lunghissima stagione dell’incertezza dovuta in parte a questa inadeguatezza, in parte a una precisa scelta politica: si afferma infatti il principio che Trento e Bolzano hanno diritto a tutti i trasferimenti che le altre Regioni ricevono. Il modello precedente è stravolto dalla quota variabile, negoziata di anno in anno, che lega le risorse del Trentino Alto Adige ai comportamenti dello Stato. Si apre qui la stagione delle “vacche grasse” – ha continuato il prof. Cerea - con un eccesso evidente di risorse. Questo impianto viene finalmente definito e adeguato nel 1989. Servono 18 anni per concordare con lo Stato un assetto finanziario che adegui lo Statuto all’ordinamento tributario. Il problema è che questo accordo arriva con la prima grande crisi dello Stato italiano. Nell’89, ricordiamo, la spesa per interessi sul debito pubblico italiano superava la spesa di tutto il personale della pubblica amministrazione italiana. In quel contesto lo Stato comincia a mettere in discussione la compartecipazione al gettito. Si tratta di un’operazione delicatissima perché va a minare il principio secondo cui l’autonomia si finanzia con gran parte dei gettiti raccolti sul territorio. Questa materia, che può essere regolata con legge ordinaria, richiede però l’accordo con le autonomie. Significa che c’è spazio per una trattativa. Qual è la scelta che viene fatta da Trento e Bolzano? Non mettere mai in discussione il meccanismo della devoluzione dei gettiti, non ridurli, in cambio di una rinuncia ad alcune voci - ad esempio i trasferimenti -, e a maggiori competenze e responsabilità. Inizia quindi una stagione di contrattazione in cui le risorse a disposizione dell’autonomia calano. L’ultimo scossone arriva con la riforma federalista, quando viene aggredito il tema delle autonomie speciali. Va osservato che le autonomie speciali sono tutte diverse e soprattutto hanno avuto uno sviluppo nel tempo molto eterogeneo. Con la riforma federalista si cerca di mettere mano a questa eterogeneità con l’obiettivo implicito che non ci dev’essere uno squilibrio tra Regioni a statuto ordinario e Regioni a statuto speciale. Non tanto in termini di potere ma in termini di risorse. Ora, come possiamo giustificare il fatto che un’autonomia regionale disponga di risorse quattro volte maggiori del pro capite che si osserva per le Regioni a statuto ordinario? Difronte a questa sfida l’autonomia risponde con due passaggi importanti: il patto di Milano che, semplificando, è un ritorno allo spirito del 1948 e il patto di garanzia del 2014, ancora più rivoluzionario. Difronte alle pressioni dello Stato, Trento e Bolzano nel 2014 fanno una scelta più radicale: i 9/10 non si toccano, eventualmente possono essere restituiti una parte dei soldi incassati. Ed è a partire da quest’anno, infatti, che Trento e Bolzano restituiranno allo Stato 900 milioni all’anno come concorso per il pagamento dell’interesse sul debito. Se a questo punto noi volessimo mettere mano allo Statuto, le norme finanziarie a quali dei modelli di autonomia che abbiamo conosciuto in passato vogliamo si ispirino? Dal ‘70 ad oggi nessun altro territorio italiano ha avuto una crescita come Trento e Bolzano, al contempo la popolazione è aumentata più che da qualsiasi altra parte d’Italia per il flusso di persone che arrivano dal resto del paese. Il merito della maggior crescita di Trento e Bolzano di chi è? Verrebbe da dire che è per effetto dell’autonomia e della responsabilità della classe politica locale che abbiamo una crescita maggiore. Ma a chi devono andare queste risorse? Sul piano individuale tenderemmo a dire che se una persona ha un reddito più alto di un’altra deve pagare più imposte. Posso pretendere in cambio più servizi? No, perché paghiamo in base alla nostra capacità contributiva e riceviamo servizi in base ai nostri bisogni. Questo principio che vale per le persone vale anche per i territori? Teniamo conto che se le cose andassero male, dovremmo avere dei meccanismi di compensazione che in Trentino Alto Adige non ci sono. Questo è un tema politico molto importante ed è il perno su cui si regge l’autonomia. Inoltre, va considerata la spesa per i servizi su un territorio di montagna, ampio e frammentato. La stima di spesa per un territorio con queste caratteristiche è del 20% in più. In Trentino Alto Adige le maggiori risorse sono servite per garantire che la montagna continuasse a vivere”. In chiusura alcuni interventi del pubblico e l’invito di Giuseppe Detomas, componente della Consulta e moderatore dell’incontro, a partecipare alla riforma dello Statuto. Il ciclo di incontri “Autonomia? Parliamone”, organizzato dalla Consulta in collaborazione con la Biblioteca Comunale di Trento, prosegue fino all’8 luglio: tutti i giorni alle 18, sabato alle 10, in Sala Manzoni.


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